Olbia devastata dai bombardamenti nella toccante descrizione dell'inviato della Stampa

Alle condizioni disastrose di Olbia, devastata dai bombardamenti del 14 maggio (il primo di una drammatica serie che si concluse a luglio), dedicò una parte del suo articolo l'inviato della Stampa di Torino, Mario Bassi. Il pezzo, intitolato "Tra la gente sarda martoriata dalla barbarie nemica", è del primo giugno 1943. Questo è lo stralcio riguardante la nostra città dove i morti, secondo i dati ufficiali, furono ventidue. Vennero centrati in pieno il porto, le navi, le strade, il municipio, l'Albergo Italia (l'attuale Expò), piazza Matteotti, Piazza Crispi, l'idroscalo, e decine di altri siti.

ritaglio

"...A Olbia, ci si è stretto il cuore allo spettacolo di desolazione. La cittadina marittima memore di Roma e di Pisa, già nominata Terranova Pausania, con la sua monumentale chiesa di San Simplicio nel tipo pisano dell'undicesimo secolo, è devastata dai bombardamenti, per ogni quartiere, per ogni casa; è pressoché distrutta. Le macerie ingombrano e ostruiscono le strade; dovunque si accumulano crolli e s'aprono enormi fosse. La popolazione è emigrata in massa nella campagna circostante; la città è deserta. Attraverso gli sventramenti e le brecce dei muri, delle porte e delle finestre divelte appare l'interno devastato e demolito delle abitazioni, soffitti e pavimenti precipitati, sedie sospese nel vuoto, mobili frantumati, suppellettili disperse e incendiate. Si cammina su un crocchiante strato di vetri rotti. Pendono dall'alto, straripati e attorcigliati, i fili delle condutture elettriche, della luce, dei telefoni. Sembra di vivere l'incubo di un sogno malvagio in un'atmosfera di morte. Affacciandomi a una porta vedo una scansia coperta di frantumi di chicchere e di bicchieri, una tavola ancora apparecchiata sotto uno strato di calcinacci piovuti dal soffitto, il lume rovesciato e una culla da lato, con la coperta rivoltata, macchiata di sangue.

Comune bombardata

Qualche uomo, qualche donna s'aggirano tra le rovine e cercano di ricuperare dalle proprie case diroccate gli oggetti e gl'indumenti superstiti. Si chiamano a vicenda con voci roche; e di tratto in tratto sostano in ascolto e guardano nel cielo se non si propaghi la romba e si profili la sagoma di aerei nemici sopravvenienti. E tornano verso la campagna carichi delle povere robe raccolte, un materasso, qualche attrezzo di cucina e del vasellame involtati dentro una coperta con un po' di biancheria. Echeggia il segnale dell'allarme aereo. Esco anch'io nella campagna, cammino qualche chilometro tra il verde, dei cespi di fichidindia, anch'io come un esule fuggiasco portando la mia sacca da viaggio.

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Osservo che le autorità civili e militari provvedono quanto possibile all'assistenza degli sfollati. Lungo la strada, questa statale settentrionale sarda, presso le scarse case coloniche sono improvvisati posti d'informazione e di soccorso a cui affluiscono i profughi. E rappresentanti del Fascio espressamente incaricati e militari provvedono ad avviare la gente a gruppi verso i luoghi di decentramento, riescono magari a far loro posto, su qualche autocarro militare di passaggio; e ti forniscono di viveri dii riserva per il viaggio, pane o galletta e scatolette di carne.

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Donne, vecchi, bambini vanno per la lunga strada o se ne distaccano per riposare all'ombra di un gruppo d'alberi. Passa un carro armato; e sulla corazza superiore, intorno al bordo della torretta aperta è insediata tutta una piccola famigliola, i ragazzi che sembrano felicissimi di quell'inusitato mezzo di trasporto, su d'un tale arnese bellico, la madre che, appoggiandosi ai cannone, inclinata avanti porge il seno a un poppante..."

Marella Giovannelli per Olbiavecchia 20 febbraio 2015

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