Mortorio, l'Isola dei Martiri e altre ipotesi (2)

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Mortorio: l'Isola dei Martiri, secondo gli storici arabi ...e altre ipotesi (di Marella Giovannelli)

Giazirat Ash Shuhada significa Isola dei Martiri. Sarebbe questo, secondo lo storico musulmano Al Himyari, il nome dato dagli arabi a Mortorio. Il contesto storico rievocato dallo studioso è un terribile naufragio avvenuto nel corso dell'assalto sferrato dal feroce pirata saraceno Mugiahid (Museto) contro alcune località e isolotti della Sardegna.

A ricordo dell'impresa, nei testi arabi si legge: ...e le sue navi andarono distrutte sugli scogli di un'isola che si conobbe, da quel giorno, col nome di GIAZIRAT ASH-SHUHADA (l'Isola dei Martiri), per l'ingente numero di Mussulmani colà caduti. Si racconta, quindi, che un gran numero di morti furono buttati dal mare lungo le sue spiagge. Da parte occidentale la versione è diversa: si dice che una flotta di pirati arabi avesse assalito, distrutto Genova e portato via donne e bambini.
I Genovesi, al rientro da una delle tante Crociate combattute in Terrasanta, trovarono la loro città praticamente distrutta e si misero all'inseguimento della flotta dei pirati che, per il maltempo, sembra fosse finita intorno all'isola di Mortorio. In queste acque avvenne una grande battaglia nella quale la flotta genovese riuscì a vincere i pirati e a recuperare gli schiavi, le donne e i bambini riportandoli a casa, dopo aver distrutto la flotta musulmana.
Esiste, comunque, una fonte storica attendibile che, in qualche modo, potrebbe avvalorare l'ipotesi di fatti sicuramente tragici avvenuti in quelle acque. Raccontano gli Annali di Pisa: Nel 1015 Mugiahid (Musetto) dopo essersi impadronito di Denia, d'Algesiras e delle Baleari assalì la Sardegna con 120 navi e 1.000 cavalieri; espugnò le principali fortezze dell'isola ed uccise il Giudice Malut.
Il momento è grave, gli stati cristiani del Tirreno si sentono ancora una volta minacciati dal pericolo saraceno. Primo fra tutti reagisce il Papa Benedetto VIII che incita le Repubbliche di Genova e Pisa a unire i loro sforzi per liberare l'Isola. Per le due città marinare, la Sardegna in mano ai musulmani rappresenta una continua e intollerabile minaccia ai loro traffici nel Tirreno.
Tra il 1015 e il 1016, le due flotte alleate battono ripetutamente le navi di Museto nelle acque sarde, mentre da terra, le truppe isolane, guidate dai giudici locali, braccano gli ultimi Saraceni rimasti.
Lo scontro decisivo si ebbe nel 1016 e la flotta di Museto, già decimata da una tempesta, fu definitivamente sconfitta e messa in fuga.
In Sardegna, subito dopo, arrivarono Pisani e Genovesi; nel nostro territorio le ricche famiglie genovesi dei Doria e quelle pisane dei Malaspina fondarono rocche e castelli.
Nella Guida della Gallura di Salvatore Colomo e Francesco Ticca, si accenna a Mortorio ma, al toponimo, viene attribuita un'origine ancora diversa: Lo strano nome dell'isola è dovuto a un fatto storico. Un piccolo esercito di Genovesi e di Galluresi vi sorprese nel tardo Medioevo alcune navi di pirati che si apprestavano a invadere le vicine coste. Furono catturati e uccisi tutti e le loro ossa si trovano ancora ammucchiate qua e là in alcuni punti dell'isola.
C'è anche l'ipotesi fatta da William Henry Smith nella sua Relazione sull'Isola di Sardegna, scritta nel 1823-24: A nord di Figari una grande baia giunge fino a Capo Libano che, a nord, conta parecchi isolotti, spogli di ogni vegetazione, disposti parallelamente alla costa, di cui Mortorio e Soffi sono i principali. L'insieme degli isolotti è chiamato I Mortorii, e si dice che questo nome derivi dalla terribile carneficina subita dai Pisani in una battaglia contro i Genovesi che avvenne vicino ad essi.

L'isola di Mortorio, a nord-est della Sardegna, tra Porto Cervo e Porto Rotondo, dista meno di due miglia dalla costa. Disabitata e protetta da un vincolo assoluto che blocca qualsiasi progetto edificatorio a tempo indeterminato, d'estate diventa meta privilegiata per le gite di migliaia di turisti. Mortorio è caratterizzata dalla presenza di alcune bellissime spiagge e da una splendida scogliera. L'entroterra è ricco di vegetazione, per la maggior parte macchia mediterranea e ginestre. Dal punto più alto dell'isola si gode un panorama di straordinaria bellezza. Raggiungibile solo in barca è l'appuntamento quotidiano e immancabile per centinaia di yacht. Per preservare le sue coste è stato annesso al parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena e, in alcune zone, è vietato lo sbarco.
A poche centinaia di metri troviamo l'isola di Soffi, molto più piccola di Mortorio e caratterizzata da bassi fondali cristallini; la zona più frequentata viene chiamata le Piscine di Soffi per la grande somiglianza a una piscina naturale circondata dalle rocce ma con il fondo sabbioso e l'acqua color smeraldo. Sull'isola nidifica il Gabbiano Corso, una delle razze protette più rare al mondo.

Da vedere: la chiesa della Madonna del Monte, San Pantaleo e Mortorio

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Madonna_del_Monte_affacciata_su_più_mari_è_la_chiesetta_più_romantica_della_Gallura.pdf

Chiesa Madonna del Monte Panorama Copia

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San_Pantaleo._La_Gazzetta_di_Porto_Rotondo_luglio_2007.pdf

Collage cartoline san pantaleo Copia                                                                                                                                       

 

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Tavolara: il regno più piccolo del mondo tra ricordi, cimeli e un raro filmato

di Marella Giovannelli per Olbiavecchia.     Re Bertoleoni a Tavolara nel 1958. Filmato Istituto Luce

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Dura meno di un minuto, è datato 25 settembre 1958, esce dagli archivi del prestigioso Istituto Luce e, a suo tempo, venne trasmesso dal Cinegiornale nella rubrica Primo Piano. Nel video che vi proponiamo (In fondo all'articolo) viene riassunta in estrema sintesi la storia di Tavolara: l'isola-regno più piccolo del mondo. Partendo dal filmato cerchiamo di approfondire l'argomento sul quale esistono diverse versioni più o meno leggendarie. Noi abbiamo scelto la testimonianza di Maddalena Bertoleoni, discendente diretta del re di Tavolara. E, grazie ai suoi ricordi, alle foto e ai documenti di famiglia da lei gelosamente custoditi, è nato questo articolo.

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Alla fine del '700, Giuseppe Bertoleoni sbarcò su quest'isola che, insieme a Capo Figari, fa da suggestivo sipario al golfo esterno di Olbia. Misteriose sono le origini e le attività di questo personaggio, probabilmente nativo dell'Alta Savoia. Sicuramente era un esperto navigatore, possedeva un cutter inglese, conosceva cinque lingue ed amava molto le donne. Durante uno dei suoi lunghi viaggi attraverso il mare, arrivò all'arcipelago di La Maddalena sulle cui isole, a quel tempo, vivevano, in povere capanne, soltanto poche famiglie di pescatori di aragoste arrivati sulle coste della Sardegna da Ponza e Pozzuoli.

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L'irrequieto Giuseppe si mise a frequentare con assiduità tre ragazze su altrettante isole dell'arcipelago maddalenino senza trascurare la sua grande passione per i viaggi in mare. E così accadde che un giorno, durante le sue escursioni, il giovane Bertoleoni arrivò a Tavolara. Quell'isola maestosa e suggestiva lo affascinò e decise di trasferirsi a vivere sulla striscia di terra ai piedi della grande montagna in mezzo al mare. Sposò una delle sue fidanzate e la giovane coppia si trasferì a Tavolara dove nacquero nove figli al maggiore dei quali fu dato il nome di Paolo. Giuseppe Bertoleoni e la sua famiglia furono i primi abitanti dell'isola che, fino ad allora, era spopolata, frequentata solo da foche monache e capre selvatiche con denti incredibilmente dorati e lucenti. Il mare era molto pescoso ma i Bertoleoni non praticavano soltanto la pesca; avevano greggi di capre maltesi e coltivavano un grande orto.

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Giuseppe, che aveva costruito sull'isola una casa grande e comoda, raggiungeva molto spesso La Maddalena per fare compere e provvedere alle necessità della sua grande famiglia che cresceva a Tavolara. Intanto a Terranova, l'attuale Olbia, si levavano insistenti reclami e vivaci proteste contro l'occupazione dell'isola. Altrettanto accadeva a La Maddalena per l'occupazione di Santa Maria e Soffi da parte dell'irriducibile Giuseppe Bertoleoni che, pur essendo sposato, aveva continuato la relazione con una delle sue vecchie fiamme creandosi una famiglia anche a Santa Maria. Nonostante i vari spostamenti Giuseppe restò, comunque, a Tavolara, fino alla fine dei suoi giorni, con la moglie ed i numerosi figli che continuarono la solita vita isolana anche dopo la morte dei padre.

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Capofamiglia divenne il primogenito Paolo che, nel 1836, fu protagonista di un singolare pezzo di storia. Quello, appunto, che pose le basi per la creazione del piccolo regno in mezzo al mare. A quel tempo era re di Sardegna Carlo Alberto che, essendosi recato in visita ad Olbia, fu informato delle vicende che riguardavano la famiglia Bertoleoni felicemente dimorante a Tavolara. Incuriosito, il sovrano arrivò nell'isola proprio per conoscere Paolo che, però, quel giorno si trovava a La Maddalena. Carlo Alberto, non volendo rinunciare ad andare sino in fondo alla vicenda, si diresse, allora, con la propria nave verso l'arcipelago ma, arrivato all'altezza dei promontorio di Capo Figari, incrociò il cutter di Paolo Bertoleoni che indirizzò al sovrano il saluto marinaro.

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I due, quindi, si incontrarono in mezzo al mare, al largo di Golfo Aranci. Dopo una breve conversazione, insieme, si diressero a Tavolara dove Carlo Alberto soggiornò per tre giorni e tre notti, in casa della famiglia Bertoleoni. Una vacanza assolutamente fuori dell'ordinario. Alla battute di pesca e di caccia il re e Paolo alternavano, infatti, lunghe ed amabili conversazioni e pranzi gustosi a base di frutti di mare, aragoste, cernie e pernici. Passati i tre giorni, Carlo Alberto salutò Paolo Bertoleoni, tranquillizzandolo sul suo diritto a restare sull'isola, con queste parole: "Tu non dovrai più preoccuparti.

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Nomino te, Paolo Bertoleoni, re dell'isola. I tuoi figli saranno principi e le tue figlie le signore dei mare". Forte di questa ufficiosa quanto amichevole "incoronazione", Paolo Bertoleoni fece costruire il piccolo cimitero che avrebbe ospitato il suo corpo e quello dei suoi discendenti, dotandolo di corone incise sulle lapidi. Dipinse uno stemma regale sulla facciata della propria casa quando undici sindaci sardi vennero a rendergli visita. Del re Bertoleoni, infatti, si parlava in tutta la Sardegna. La storia della sua "incoronazione" aveva varcato addirittura i confini nazionali, tanto che persino la regina Vittoria, a Londra, fu informata dell'esistenza di un'isola, al nord della Sardegna, diventata il più piccolo regno dei mondo per volontà del re Carlo Alberto.

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E proprio la regina inglese mandò a Tavolara una propria nave per documentare e fotografare la storia del nuovo sovrano e della sua famiglia. Di questo episodio resta un'inoppugnabile documentazione storica. Una fotografia si trova, infatti, ancora a Buckingam Palace e ritrae la famiglia Bertoleoni  in abiti da cerimonia e al gran completo, in posa sulla loro isola, felici regnanti senza sudditi. Nel 1886, alla morte di Paolo I, fu proclamata la repubblica ma la monarchia venne restaurata nel 1895 e lo scettro fu affidato a Carlo che regnò fino al 6 novembre 1927. Qualche anno fa i discendenti di re Paolo hanno chiesto il riconoscimento giuridico dei regno di Tavolara mentre sulla splendida isola, diventata Area Marina Protetta il 12 dicembre 1997, vive e lavora la settima generazione della famiglia Bertoleoni. 

 

A Su Gologone matriarche in cucina con Grazia Deledda...e Madonna

Pasqua Palimodde, insieme alla figlia Giovanna, è il cuore pulsante, il motore creativo dell'Hotel-Ristorante "Su Gologone" di Oliena, fondato dal marito Peppeddu, scomparso nel 1996. La vestale della cucina barbaricina continua a sorprendere. Qualche tempo fa ha lanciato un'iniziativa per la riscoperta dei "menu deleddiani", alla quale hanno aderito altri ristoratori di Oliena.

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 La signora Pasqua ha riletto le opere della scrittrice nuorese, ricopiando diligentemente le ricette riportate nei suoi libri. Sono piatti dal sapore genuino e antico che hanno entusiasmato tutti quelli che li hanno gustati. Sono piaciuti molto gli gnocchi grossi come le mandorle conditi con i pomodori secchi e raccontati in "Cenere". Buona anche la pasta con le noci, ricetta tratta dal "Il vecchio della montagna", ma il "piatto principe deleddiano" secondo Pasqua Palimodde è il "Filindeu". Le donne lo preparavano per distribuirlo ai poveri, una volta alla settimana, nella Chiesa delle Grazie situata al centro di Nuoro. Ancora oggi, in occasione della festa di San Francesco a Lula, si impone l'offerta di "su filindeu" a tutti i pellegrini. La signora Palimodde racconta: "Fare il "filindeu" ancora oggi è un rito. La pasta è fatta di sola semola, acqua e sale. Poi viene lavorata moltissimo sino a farla filare. Dopo si stende al sole su un piano di sughero e si lascia essiccare sino a quando non diventa come un tessuto croccante. Si conserva a pezzi, in casa, a temperatura ambiente. Il "filindeu" si cuoce nel brodo di carne o di pecora, dove io faccio sciogliere un po' di concentrato di pomodoro. Questa minestra squisita va servita con del pecorino grattugiato".

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Se Pasqua è la regina, sua figlia Giovanna è la principessa di un luogo-mito come ormai è "Su Gologone". A lei spetta il compito di continuare la tradizione; ma è anche una pittrice di talento, cresciuta tra le opere d'arte raccolte dal padre , grande collezionista dei maestri sardi, tutte esposte nello straordinario ristorante-museo, uno dei locali-simbolo dell'ospitalità sarda. Nel 2001, Madonna, impegnata a Cala Gonone, nelle riprese del film "Swept Away", ha trascorso una ventina di giorni a "Su Gologone", insieme al marito, alla figlia e alla troupe. La cantante-attrice americana, pur osservando una dieta severa, è diventata un'estimatrice del vino rosso Corrasi e ha assaggiato tutte le specialità della cucina barbaricina, compresi i maccheroni di "busa" , ancora fatti a mano con il ferro da calza, il sanguinaccio e le fave con il lardo, naturalmente preparati seguendo le ricette tratte dal libro "Marianna Sirca" del Premio Nobel Grazia Deledda. 

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Madonna, entusiasta anche per l'efficace tutela della sua privacy, prima di ripartire ha ringraziato personalmente lo staff dell'albergo, salutando Giovanna Palimodde con queste parole: "Goodbye, Su Gologone es mi casa" . La pop-star americana, oltre a gustare le antiche ricette, ha ammirato le meravigliose opere d'arte di grandi artisti sardi esposte nelle varie sale a loro dedicate. E sono autentici capolavori firmati da pittori, ceramisti e scultori del livello di Giuseppe Biasi , Melkiorre e Federico Melis, Francesco Ciusa, Salvatore Fancello, le sorelle Altara, Liliana Cano, Antonio Corriga e tanti altri. Il percorso gastronomico e artistico proposto dalle matriarche Pasqua e Giovanna affascina e coinvolge tutti gli ospiti che arrivano a Su Gologone. Il lunghissimo elenco comprende Richard Gere, Peter Gabriel , Antonello Venditti, Laura Morante, Vittorio Sgarbi e Francesco Cossiga. La festa dei sensi continua anche nelle vasche da bagno dell'hotel dove si può scegliere il colore dell'acqua e sottoporsi ad un'insolita e benefica seduta di cromoterapia.

Marella Giovannelli

Padru: un territorio incontaminato tra antichi borghi e paesaggi fiabeschi

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In Sardegna esiste un mondo segreto e affascinante, spesso lontano dagli itinerari turistici più reclamizzati, ma non per questo meno importante e ricco di emozioni. Il territorio di Padru è incastonato tra antichi borghi e paesaggi fiabeschi, sia verso il mare sia verso l'entroterra selvaggio e incontaminato. Prevalentemente collinoso e montuoso, si trova in una posizione geografica straordinaria, a pochi chilometri da rinomate località balneari e dalla Costa Smeralda, collegate da strade veloci e sicure. Questo ha sicuramente favorito il costante sviluppo del paese, vivace e dinamico, e del suo vasto comprensorio. Per le loro singolari caratteristiche meritano una visita le chiese, i santuari, i borghi e gli stazzi dove sono nati i primi insediamenti (Badde Vera, Badu Andria, Poltolu). Tra Padru e Alà dei Sardi, a meno di trenta chilometri da Olbia, vi emozionerà Pedra Bianca, un piccolo villaggio tra i più pittoreschi di tutta l'Isola. Arroccato su cime rocciose che si affacciano su una splendida valle, è uno dei siti più panoramici e caratteristici della regione. I tetti rossi delle vecchie abitazioni costruite in granito senza intonaco, si intravedono tra rocce e gruppi di lecci, cisti, rovi e corbezzoli.sa-pedra-bianca-2 Copia

La frazione, definita "il tetto pietroso della Sardegna", ha origini nella seconda metà del Settecento e, dalla sua singolare posizione si può ammirare un panorama mozzafiato a 360 gradi. Gli appassionali di escursioni, magari a cavallo o in mountain bike si troveranno immersi in una fitta vegetazione tra sorgenti e grotte e misteriose. Le rocce hanno forme bizzarre, spesso legate a leggende popolari, come quella di "Su Demoniu", che attribuisce alla mano del diavolo, o meglio al suo dito infuocato, il disegno su una parete rocciosa, della testa di un cervo, pecore e attrezzi di lavoro. La maggior parte delle abitazioni conserva il vecchio camino, fulcro della vita domestica del passato, provvisto nella parte antistante, di uno spazio apposito per sedersi durante le fredde serate d'inverno. Dalla cima del Monte Nieddu, la montagna sul mare più alta di tutta la regione, lo sguardo arriva fino alla Corsica. Un sito di grande interesse archeologico è quello di "Santu Miali", all'interno di una fertile vallata ricca di boschi. Qui sono stati rinvenuti i resti di una villa romana, una necropoli e due chiese medievali. Tra i materiali recuperati in corso di scavo, oltre a copiosi frammenti ceramici, si segnalano seimila denari di Genova, alcune monete romane e diversi monili.fiume monte nieddu Copia

Altri tesori del territorio padrese: un piccolo paradiso dominato da canyon e cascate spettacolari alte fino a trentotto metri e il grande compendio forestale con bellissimi camminamenti e sentieri. Suggestivo lo scenario della Valle del Lerno con i magnifici percorsi resi ancor più complicati da fiumi, rocce, radici e sabbia: posti ideali per i centauri dell'enduro. Quasi tutti i percorsi naturalistici si addentrano attraverso il regno dei cinghiali e dei rapaci come l'aquila reale e i falchi. Le foreste di querce da sughero creano atmosfere misteriose tra i fitti rami che lasciano filtrare il sole creando pozze di luce. Nel periodo autunnale, dopo le prime piogge, i boschi offrono una generosa varietà di funghi. Molto diffusi sono gli agriturismi dove è possibile assaporare le specialità della cucina locale particolarmente gustosa e genuina. In continua espansione la viticoltura, impreziosita da uno squisito Aleatico, sempre più raro in Sardegna. L'amministrazione comunale, sensibile e dinamica, organizza con notevole impegno manifestazioni di grande interesse culturale ed eventi sportivi di forte richiamo.

Marella Giovannelli

Un'antica comunità negli stazzi di Poltu Ridundu

Sorprese tempiesi tra i Templari e Fabrizio De Andrè

I nuraghi ci tramandano la medicina alternativa

Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama

Alla scoperta dei tesori nascosti nell'agro di Olbia

Lollove: minuscolo borgo antico, scrigno della memoria

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Lollove, antico villaggio incastonato nel verde, tra ruscelli e montagne, sembra incantato e sospeso nel tempo. Conta appena ventisei abitanti, unica frazione di Nuoro che dista 15 chilometri. Non c'è un medico e nemmeno carabinieri o polizia; non ci sono scuole, negozi e bar. In compenso c'è la trattoria "Sa Cartolina" di Tzia Toniedda che apre in occasione di manifestazioni, feste patronali e su preavviso telefonico. Un autobus collega Lollove a Nuoro con tre corse giornaliere. Si torna indietro nel tempo, immersi nei suoni e nei colori di una natura ancora intatta, passeggiando tra le stradine acciottolate o chiacchierando con i vecchi davanti al calore accogliente dei camini accesi.2 Lollove Copia

Il campanile si staglia contro il cielo terso; il fascino delle antiche case con vista spettacolare sulla vallata s'intreccia alle testimonianze di vita quotidiana e di devozione religiosa degli abitanti decisi a restare. Oggi il minuscolo villaggio, di aspetto ed atmosfera medioevale, è un luogo-simbolo dello spopolamento dei paesi dell'interno della Sardegna. Fra le poche case abitate e i molti ruderi abbandonati, si erge la chiesetta di Santa Maria Maddalena, patrona del borgo, la cui costruzione viene fatta risalire all'inizio del 1600. L'interno del santuario richiama le linee del tardo Gotico; conta tre navate, scandite da quattro eleganti pilastri, e nove arcate in trachite rosa. Le funzioni religiose sono svolte ogni domenica da un anziano sacerdote proveniente da Nuoro. Grazie alla sua disponibilità e sensibilità, il prete è un punto di riferimento importante per la piccola comunità dei fedeli. La tradizione orale dice che Lollove trae le sue origini dalla popolazione di un villaggio più antico che lo sovrastava chiamato Selene (dal greco seleni, la luna). Si dice che da questo paese provenisse il pastore che si sposò con una suora dell'antico monastero. E la gente del posto cita spesso la leggendaria maledizione scagliata su Lollove da alcune monache in fuga dalla borgata. Scandalizzate dal comportamento delle loro consorelle che avevano preferito i pastori e i piaceri carnali alla vita monastica, si erano fatidicamente pronunciate contro Lollove: "Sarai come acqua del mare; non crescerai e non morirai mai".3 Lollove Copia

I vecchi del posto non hanno dubbi: "Lollove è nata prima di Nuoro e dell'anno Mille; era Comune fino al 1811 e aveva alcune centinaia di abitanti nel Novecento". Secondo lo scrittore nuorese Sebastiano Satta "Lollove nel 1896 ha trecentosessantasette abitanti e cinquantasei case. Ci si arriva, partendo da Nuoro, per una stradicciuola, ora erta ora scoscesa, ghiaiosa e dirupata, traversando vallate umide e fresche, o monticelli brulli e desolati...Le vie del piccolo abitato sono ostruite da rocce e da massi enormi, piene di ciuffi d'euforbio o di caprofico, tanto che non vi possono transitare né cavalli né carri." Il villaggio di Lollove, colpito da un'epidemia di vaiolo nel 1860 e da una fortissima carestia nel 1883, ispirò anche la scrittrice nuorese Grazia Deledda, Premio Nobel per la letteratura, che vi ambientò il suo romanzo "La madre". A Lollove l'energia elettrica è arrivata solo nel 1960. Gli anziani di oggi ricordano che, da giovani, si ritrovavano nei due bar (zilleri), nella bottega di generi alimentari che ospitava il telefono pubblico e nel tabacchino del villaggio. Si organizzavano i balli nel cortile della chiesa e le feste per il Carnevale oltre a quelle per San Giovanni, San Biagio, Santa Eufemia e Maria Maddalena. Usanza, fortunatamente abbandonata, era quella di sotterrare un gallo lasciando fuori la testa che fungeva da bersaglio per ragazze e ragazzi armati di fucile. Vinceva chi, per primo, colpiva ed ammazzava il povero gallo. Il drastico spopolamento del paese è avvenuto nella prima metà degli anni Sessanta; in precedenza c'erano la scuola materna e quella elementare a testimoniare la presenza consistente di bambini.4 Lollove Copia

Lollove, grazie anche alla determinazione e alla laboriosità delle sue matriarche, non è un paese fantasma. I ventisei residenti formano una comunità orgogliosa, ospitale e consapevole del fascino del piccolo borgo medievale. Dietro ogni vecchio cimelio esposto nella casa-museo di Tzia Toniedda, c'è una storia che merita di essere ascoltata. Intanto Lollove, già in passato fonte di ispirazione per scrittori, poeti e pittori, è diventato un "generatore" di interessanti progetti culturali e multimediali. Ora il borgo si ripopola in occasione delle sagre e delle feste patronali ma i turisti arrivano richiamati anche dalle belle foto e dai suggestivi filmati che circolano in Rete. I visitatori non trovano alberghi nel piccolo regno della serenità e del silenzio. Qui la vita scorre lenta e l'odore di pane e fumo si spande tra pietre, felci, muschi, capre, cavalli e i tanti gatti di Lollove, scrigno della memoria.

Marella Giovannelli per la rivista "Sardegna Immaginare". Maggio 2014

C’era una volta la Sardegna d’autore in bianco e nero

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La Sardegna, da tempo meta di tanti scrittori-viaggiatori, già nell'Ottocento ha iniziato ad attrarre i pionieri, italiani e stranieri, della fotografia.
Erano tutti affascinati, oltre che dai paesaggi e dai colori, dallo straordinario patrimonio di tradizioni, usi e costumi di una terra che, come scrisse David H. Lawrence, "non assomiglia ad alcun luogo". Prima gli studi sul folklore e sull'etnografia, poi l'eco di fenomeni come il banditismo, hanno richiamato nell'Isola reporter da tutto il mondo, compresi gli inviati dell'agenzia parigina Magnum Photos. I loro scatti in bianco e nero sono un esempio di realismo poetico; foto-testimonianze che, ancora oggi, colpiscono per la loro intensità e bellezza. La più antica documentazione fotografica sulla Sardegna, è legata al nome del romanziere francese Édouard Delessert. Nel 1854, dopo numerosi viaggi in Oriente, Delessert sbarca in Sardegna, fornito di una pesante attrezzatura fotografica per illustrare il suo diario di viaggio "Six semaines dans l'île de Sardaigne". Le sue splendide immagini di città e paesi si caratterizzano per l'assenza delle figure umane mentre queste sono protagoniste nelle opere dei fotografi sardi Giulio Pili (nato nel 1872 e morto nel 1950) e Guido Costa (nato nel 1871 e morto nel 1951). Entrambi hanno "fissato" gente comune in momenti di festa e tragedia, attimi di vita quotidiana e di lavoro. L'archeologo inglese Thomas Ashby ha effettuato 5 viaggi in Sardegna tra il 1906 e il 1912, durante i quali ha scattato oltre 600 fotografie. Trecento sono state digitalizzate, restaurate e inserite in un volume, intitolato "La Sardegna di Thomas Ashby", pubblicato da Carlo Delfino Editore.

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Il fotografo viennese Wolfgang Suschitzky, dal 1948 al 1950, documenta, tra l'altro, la campagna per l'eradicazione della malaria, condotta in Sardegna dall'ERLAAS. Nei primi anni Cinquanta la Sardegna è meta dei più importanti reporter nazionali e internazionali; primo fra tutti Federico Patellani che affronta tematiche in primo piano in quegli anni come il banditismo e i processi di modernizzazione della vita e dell'opera dell'uomo. In quel periodo le caratteristiche della Sardegna attirano anche alcuni grandi nomi dell'obiettivo riuniti sotto il prestigioso marchio dell'Agenzia Magnum Photos.

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Dopo Werner Bischof arriveranno David Seymour (Chim), Kryn Taconis e, nei primi anni Sessanta, Henry Cartier-Bresson e Bruno Barbey. Le immagini "sarde" dei maestri della Magnum, oltre ad essere pubblicate nelle riviste più importanti del mondo e in diversi libri fotografici, saranno spesso esposte in gallerie e musei. Intanto il fenomeno del banditismo attirava nell'Isola antropologi e fotografi; tra questi c'è anche l'argentino Pablo Volta che, dal 1954 al 1957, trascorre intere settimane in Sardegna. I suoi scatti sul Carnevale di Mamoiada sono i primi del genere ad essere pubblicati.

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Mario De Biasi è l'altro grande reporter che, a metà degli anni Cinquanta, riesce a cogliere i primi segnali di cambiamento della società sarda. Nel marzo del 1958, la rivista americana "Life" invia in Sardegna, ad Orani, il fotografo piacentino Carlo Bavagnoli, scelto per realizzare un reportage su Costantino Nivola e la sua mostra di sculture allestita per le vie del paese. Pregevole l'opera di Gianni Berengo Gardin che, in Sardegna, realizzò alcuni reportage in a partire dagli anni 60 e 70. Immagini di un'isola sospesa nel tempo, sguardi in bianco e nero tra realtà e memoria. Preziosi anche i frutti delle sette escursioni fotografiche compiute in Sardegna, negli anni Cinquanta e Sessanta, dal grande Franco Pinna, nato a La Maddalena il 29 luglio 1925 e morto a Roma il 2 aprile 1978. Ancora bambino, aveva lasciato l'Isola a causa del trasferimento a Roma della sua famiglia. Fotografo di fiducia di Federico Fellini, già molto noto per i suoi reportage pubblicati sulle principali riviste italiane e straniere, Pinna ha sempre riservato un'attenzione speciale alla sua terra d'origine.

 

A Monti, nel cuore della Gallura, alla ricerca dei sapori e dei monaci perduti

                                                                                                                                                                                        collage 1 monti

 Una specie di “Pranzo di Babette” in salsa gallurese: lo hanno offerto a centocinquanta amici i titolari di “Su Furreddu” a Monti, terra del Vermentino. Pietrina, Salvatore ed Agnese Isoni sono abituati a stupire i clienti del loro locale. Qui la cucina è decisamente diversa da quella di tante altre aziende agrituristiche con un menù inflazionato e sempre uguale. Zia Pietrina, ai fornelli da una vita, regala ogni volta un viaggio alla ricerca dei sapori perduti, valorizzando il “tesoro” eno-gastronomico della zona. Ricette in via di estinzione come la mazzafrissa e le pietanze che un tempo si preparavano negli stazzi, riportano alla memoria profumi e sapori dell’infanzia. Gli antipasti sono una quindicina, con tante golose sorprese non inventate, ma recuperate dalla tradizione. Il pranzo di giovedì grasso ha riunito a “Su Furreddu” tanti amici buongustai, accolti da prelibatezze molto rare da trovare, sia nei ristoranti che nei supermercati. Un trionfo del gusto: i prosciutti di capra, cinghiale, maiale e pecora (l’ordine alfabetico coincide con la mia personale classifica). Squisite le focacce: quella ripiena di lardo e cipolline fresche e l’altra, con farina di grano duro, cipolla e ciccioli di maiale. Un matrimonio d’amore: la ricotta con l’abbamele, uno dei prodotti più antichi e tipici della gastronomia isolana, che si ottiene dalla cottura prolungata del favo contenente miele e polline, con l’aggiunta di scorze d’arancia o limone. E poi, il piatto forte che non deve mai mancare a Carnevale: le fave e lardo serviti insieme al cavolo verza, patate e castagne in una specie di zuppa dove il sapore di ogni ingrediente esalta l’altro. Il pranzo ha avuto una “coda” dolce e fragrante con le frittelle lunghe, tipiche della Gallura. 

Collage Monti 2

Circondato da massi granitici, boschi di sughere e macchia mediterranea, il territorio di Monti è conosciuto, oltre che per il vino, per il santuario campestre dell'antica Chiesa di S. Paolo Eremita del 1348. Qui, a metà agosto, si svolge una festa religiosa molto sentita. In quell’occasione, ancora oggi, migliaia di pellegrini si muovono in gruppo, a piedi da Olbia, che dista circa 25 km. da Monti, per raggiungere il Santuario. Viaggiano tutta la notte e l’ultimo tratto, quello che conduce alla Chiesa, lo percorrono sulle ginocchia. E’ un atto di devozione compiuto da penitenti che arrivano a Monti da tutta la Sardegna, come ricorda anche Grazie Deledda in uno dei suoi romanzi, per onorare San Paolo Eremita. In un passato ormai lontanissimo, esisteva un florido monastero, nei pressi del Santuario, situato in un angolo di paradiso terrestre per la bellezza della vegetazione e l’incantevole panorama. Nel 1300 i monaci vivevano nelle celle e si riunivano nella Chiesa che corrispondeva all’attuale altare maggiore ed alla sagrestia. Nelle vigne del monastero, scomparso da secoli, si produceva abbondante vino pro mensa e pro missa. Riferimenti storici, che confermano l’attività e le buone condizioni del monastero di Monti, si trovano anche nel “Rationes Decimarum” di Quintino Sella. Il successivo ampliamento della Chiesa, una bella e semplice architettura con pietre a vista, risale al 1600. Invece, non si hanno più notizie dell'antico monastero a partire dal 1400. La zona abbonda di "gioielli” naturalistici come il Belvedere di Sa Turrida, con vista che spazia dall'isola di Tavolara al Monte Limbara, e la foresta demaniale di Monte Olia popolata da uccelli rapaci, cinghiali, caprioli e mufloni.

17 febbraio 2007

 

Curiovagando

 

collage sardegna insolita

Viaggi nell'altra Sardegna. Articolo di Marella Giovannelli. La Gazzetta di Porto Rotondo agosto 2006. (Pedra Bianca, Grotta di Ispingoli, Perda Longa, Giara di Gesturi, Complesso nuragico di Barumini).

Insolite escursioni in una Sardegna da scoprire. Articolo di Marella Giovannelli. La Gazzetta di Porto Rotondo giugno 2007. (Lollove: il regno, spopolato, della serenità. Bosa, segni particolari: antica, fluviale e variopinta).

Insolite escursioni in una Sardegna da scoprire. Articolo di Marella Giovannelli. La Gazzetta di Porto Rotondo luglio 2007. (Da Posada a Berchida: un itinerario fiabesco tra storia e natura. Galtellì: dalle "Canne al vento" di Grazia Deledda  alla Bandiera Arancione del Touring Club).

Insolite escursioni in una Sardegna da scoprire. Articolo di Marella Giovannelli. La Gazzetta di Porto Rotondo agosto 2007. (Orani e Teti: un itinerario dei sensi nel cuore della Sardegna. Aggius e il Muto di Gallura, di ieri e di oggi). 

I_dieci_comuni_sardi_della_Six_Days_of_Enduro._Marella_Giovannelli.pdf (I dieci comuni sardi della Six Days of Enduro ISDE 2013. Marella Giovannelli per FMI)

Locandina isde Copia

 

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